Archivio per la categoria giornalismo

Inevitabile

Un piccolo incidente, proprio all’inizio dell’articolo. Doveva scrivere “impossibile”, e ha scritto “inevitabile”. Il risultato è un corto circuito logico che mi ha costretto a un minuto di riflessioni, e che ora mi porta a scrivere queste due righe, alle sette e mezza di mattina.

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Guarda “DALLA TELEVISIONE AI SOCIAL” su YouTube

Incontro con Carlo Freccero straordinariamente denso e utile per tornare a guardare la realtà con occhi aperti e liberi.

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Il diritto a darsi da fare

Sollecitato da un post di Celia, riprendo un pensiero che mi torna spesso, ma soprattutto quando dal linguaggio comune mi si ripropone l’espressione “diritto al lavoro”, o “diritto alla casa” e simili.

Diritti che, a mio avviso, come ad avviso di Celia, che fa riferimento al “diritto alla felicità”, non esistono.

Riguardo al “diritto alla felicità”, si sente dire spesso che sarebbe contemplato nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti. E questo non è vero.

Nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti c’è scritto “We hold these Truths to be self-evident, that all Men are created equal, that they are endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the pursuit of Happiness“.

Come si vede, non è la “Happiness” ad essere indicata come “inalienabile diritto”, ma la “pursuit of Happiness”. “Pursuit” io, più che come “ricerca”, lo tradurrei come “perseguimento”, che mi dà un’idea maggiormente operativa.

Abbiamo quindi il diritto a cercarci e a conquistarci la felicità; non ad averla comunque. E la stessa cosa è vera per il lavoro, per la casa, e per tutti gli altri beni che il pressapochismo mediatico corrente ci indica come “diritti”.

In soldoni, bisogna darsi da fare. E proprio “darsi da fare” a me pare la migliore interpretazione di un punto fondamentale della Carta Costituzionale italiana, e cioè l’articolo 1, laddove si proclama che la Repubblica è “fondata sul lavoro”.

Mi sono convinto che non si tratta del lavoro retribuito e magari contrattualizzato: si tratta della spinta individuale (o, anche, associata) a “darsi da fare” (interessantissimo l’approfondimento, possibile, di certe locuzioni dialettali, in questo senso). Se manca questa (ovviamente non considero, qui, le situazioni oggettive di bisogno), l’oggetto del tuo desiderio potrà, forse, scendere dal cielo, ma non lo potrai invocare come “diritto”.

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Antiabortisti

Essere lietamente e laicamente antiabortisti.

Amare il senso puro delle parole; il loro principio, e difenderlo.

Guardare avanti.

Compatire.

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Dove non c’è politica c’è fascismo

È duro ammetterlo: bisogna stare attenti a criticare “la politica”. Tutta la retorica anticasta che è fiorita negli ultimi anni ha prodotto una generica disistima per “la politica” e per chi vi dedica tempo e impegno che è già sfociata, oggi, in un atteggiamento di disprezzo. Ma è da qui che prende le mosse il desiderio dell’uomo forte; di una guida dello Stato capace di decidere, senza farsi imbrigliare da discussioni sterili e dispendiose. È da qui che germina l’idea che, alla fine, una sorta di “dittatura buona” sia utile, o addirittura necessaria. Ma non c’è scampo: dove arretra “la politica” avanza l’oppressione. Il fascismo. E ogni propaganda “antipolitica” è velenosa, di un veleno che è già stato seminato molto largamente.

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Matteo, riposati!

Ho visto la puntata di “Otto e mezzo” con Matteo Salvini. L’impostazione dialettica salviniana è prevedibile e basata su uno schema elementare, molto costruito sulla distrazione, sullo spostamento dell’attenzione su ambiti ben conosciuti e memorizzati (ad esempio la filastrocca sulle cose da fare).
Ma ciò che è più preoccupante è l’evidente stress nervoso del leader della Lega, che appare alterato nell’eloquio, e anche affaticato fisicamente. Lo snervante tour elettorale che sta conducendo è sicuramente fondamentale per il suo futuro politico immediato, ma sarebbe bene che Ciccio pensasse anche alla sua salute. Purtroppo la scomparsa delle idee e la politica tutta fatta sul corpo del leader richiedono personalità supercorazzate e Matteo avrebbe bisogno di riposo.

 

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Assumere la condizione omosessuale comporta assumerne anche i limiti che ne derivano

Non conoscevo questo articolo di “Le Figaro” del 26 gennaio 2019.

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Patrizia Toia e il PD: per “l’Espresso” nomi come insulti

Patrizia Toia

Allora: decidiamo di che cosa parlare qui. Parliamo di un articolo de “l’Espresso”, firmato da Tommaso Cerno e che ha questo titolo: “Il Pd sceglie l’antigay Patrizia Toia in Europa. E allora perché non riprendere la Binetti?”.

Bene: prima di tutto due parole sul fatto. Il fatto è che Patrizia Toia, che ha alle spalle tre legislature a Strasburgo, è stata scelta dal PD come sua capodelegazione al Parlamento Europeo.

Si tratta di persone, si tratta di nomi. Persone che hanno determinate posizioni, come è logico oltreché legittimo.

Ma succede sempre più spesso che quando uno ha un’idea, e magari fa anche politica, si apra nei suoi confronti una sorta di superproduzione di etichette in modalità-insulto: “antigay” (vuol dire che sei contro un determinato disegno di legge), “teodem” (vuol dire che sei cattolico del PD), “omofobo” (vuol dire che sei contro un determinato disegno di legge, c.s.), “personaggio cattolico integralista” (vuol dire che sei cattolico e che sei contro un determinato disegno di legge)”.

Ma un aspetto di questo articolo che sorprende è il recupero in chiave insultante addirittura del nome e cognome di una persona, Paola Binetti, con l’unico scopo di suscitare l’orrore dei lettori, in quello che forse si pensa dovrebbe essere una specie di riflesso condizionato. Al solo nome scatta la reazione del pubblico.

Qualcosa del genere si è avuto, e ormai da parecchio tempo, a proposito di Carlo Giovanardi, che mi pare sia stato un po’ l’antesignano, in Italia, dell’effetto “basta la parola”. Funziona come un gioco: si dice il suo nome, e scatta un moto concorde fra gli astanti, fra il disgusto e la rassegnazione.

In definitiva, si sostituiscono le persone (coi loro nomi) alle idee, e quando un’idea non piace si trasforma il nome della persona in insulto. Una pratica politically correct, laica e liberale.

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Grand Guignol “col Vangelo in mano”

All’origine c’è un fatto. Poi c’è il modo in cui viene percepito. Poi c’è il modo in cui viene raccontato. Poi c’è il modo in cui viene percepito da chi lo ascolta (la giornalista). Poi c’è il modo in cui chi l’ha ascoltato lo racconta a sua volta e lo scrive. E arriviamo qui:
“…In più, mentre ero lì stravolta dal dolore entravano degli attivisti anti aborto con Vangeli in mano e voci minacciose.” Una pennellata religio-horror, tanto per dare più colore al quadro.

http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/03/11/news/io_abbandonata_in_bagno_ad_abortire-80714684/?ref=HREC1-2

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L’arte può servire

Se io mi inventassi un’attività pseudo-artistica e poi ne approfittassi per mettere in atto scemenze od infamie di vario genere, troverei sempre: 1) “la Repubblica” pronta a considerare che le mie siano “provocazioni”, 2) un assessore alla Cultura che si dichiara contrario alla censura, 3) un’opinione pubblica ottusa e acriticamente partigiana (o sei aperto e tollerante, e cioè moderno, o sei talebano e oscurantista, e perciò medievale).

Ho pensato perciò, dato che la mia natura profonda mi porta spesso a infrangere svariati articoli del Codice della strada, di riconvertirmi in “artista veicolare”, e di includere tutta la mia attività automobilistica nella vasta categoria di questa innovativa e provocatoria (!) forma d’arte, da me fondata. Ogni mia bizzarria sarebbe guardata con interesse, susciterebbe dibattiti e, casomai talvolta infrangesse (sempre in modo “controllato” e “responsabile”, garantisco io) qualche articolo del codice, troverebbe sicuramente qualche simpatia nella folta schiera degli “opinionisti”.

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