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La mia sulle sardine

Provo a dire la mia sul fenomeno “sardine”.

Premessa: di che cosa sto parlando. Parlo di ciò che vedo e che credo di capire, quindi non parlo di ipotesi, che io reputo fantasiose, di un movimento (così vasto, poi…) manovrato e pilotato da Prodi o da Zingaretti.

A mio avviso, si tratta più di un fenomeno che di un vero movimento. Se sta tentando di strutturarsi come movimento vuol dire che sta già diventando un’altra cosa da ciò che era quando è nato, col travolgente successo che appunto al suo nascere ha incontrato tra la gente.

La gente: qual è la gente che ha segnato il successo del fenomeno? Potrei dire: la gente come me. E’ vero che io sono orientato a sinistra (e solo questo già per alcuni mi contrassegna come sinistro, pidiota, mangiabambini di Bibbiano, abortista e chissà cos’altro), ma da decenni sono refrattario alle manifestazioni di piazza e molto pigro (proprio tanto) rispetto alla partecipazione ad attività politiche propriamente dette.

Ora, ciò che mi ha spinto ad accogliere con un certo divertito entusiasmo l’idea di andare in piazza è stato un misto di due ragioni:

1) il timore dell’ascesa del salvinismo

2) l’idea di una manifestazione pacifica antisalvinista fortemente connotata da uno spirito giocoso.

E la presenza in piazza mi ha confermato che questo fosse lo spirito. Ma si trattava della primissima sortita pubblica della fauna ittica.

Per questo, dal mio personalissimo punto di vista le accuse di debolezza propositiva e di vuoto politico delle sardine sono assolutamente fuori luogo, perché se si fa di questi elementi un’accusa si mostra di non aver capito che in realtà si tratta di elementi non propri e non necessari del fenomeno. Non lo si coglie per ciò che in effetti è. Lo si travisa (e ho il sospetto che qualcuno possa anche non farlo in buona fede).

Eppure, sembra che oggi l’attenzione dei pensatori e dei politologi sia tutta orientata verso quel tipo di domanda. Non sarà che le sardine hanno dato qualche indizio di un loro orientamento in quel senso? Cioè di voler costituirsi come movimento? e con ciò darsi una qualche struttura programmatica? I sei punti (erano sei? o dieci?), nella loro genericità, tengono ferma la collocazione nell’ambito del prepolitico, o indicano invece una pre-strutturazione ideologica?

Secondo me, l’azione e il perimetro delle sardine dovrebbe rimanere dentro i confini di un antisalvinismo innocente e festoso, senza farsi ingabbiare nel gioco degli schieramenti, degli endorsement e dei talk show a ripetizione. In questo senso, la intensa presenza di Santori non mi sembra deporre per la credibilità della causa.

L’effetto mediatico farebbe comunque il resto: si vede in tv quanto è povero il seguito del felpato bipede, e quanto invece è corposa e vispa la presenza degli sguscianti pesciolini.

Mi sbaglierò. Io mi sbaglio sempre.

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Ci si arriverà?

Mentre attendo la conferenza stampa di Zingaretti, questa domenica pomeriggio, rifletto che fra infingimenti vari, scenette, schermaglie, mi sembra di intravvedere che un accordo tra PD e Movimento 5 stelle, per la formazione di un nuovo Governo, ci potrebbe essere, e ci potrebbe essere anche trangugiando il nome di Conte, con tutto quello che ha avvallato, alla Presidenza del Consiglio.
Dal punto di vista personale, Conte ha dalla sua, da un lato, la dichiarazione che con Salvini non vuole e non può avere più nulla a che fare; dall’altro, il fatto che la sua inconsistenza politica si può prestare molto facilmente a un forte condizionamento da parte del PD.
Inoltre, concedere (con teatrale sofferenza) la Presidenza del Consiglio a Conte (e perciò ai M5S) può consentire al PD di ottenere vasti contraccambi in termini di ministeri di prestigio, a cominciare dal simbolico e cruciale ministero degli Interni.
Come Conte stesso ha dichiarato, non è questione di nomi, ma di programmi, e anche sul piano dei programmi (il fare e anche il dis-fare, come diceva la Bonino) si potrebbe strappare al M5S un accordo che sostanzialmente veda al primo posto i temi del PD, e magari accantonare un po’ quel ritornello della riduzione del numero dei parlamentari, che è una insensata bandierina che i ragazzi del M5S sventolano senza rendersi neanche conto del suo significato e delle complicate conseguenze che porterebbe con sé, come l’aggiustamento della legge elettorale e il referendum.
Niente formule aberranti come “contratti di governo” o altre fantasiose trovate. Un programma preciso di cose da fare e controllo stringente.
Il PD ha un problema (o un’opportunità; dipende) che si chiama Matteo Renzi. L’alternativa fatale penso che sia fra un suo nuovo partito o la sua riconquista di quello vecchio.

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Immigrazione e “diritti gay”. Libertà di opinione e ricatti morali

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Mi sembra che in almeno due grandi questioni del dibattito politico italiano di oggi funzioni la tecnica del ricatto morale, ma in una dimensione potentissima, tale da bloccare, spesso e volentieri, il dibattito stesso.

Le questioni sono quelle dell’immigrazione clandestina e quella dei “diritti gay”. In ambedue i casi viene applicata la tecnica del ricatto morale.

La legittima opinione che i trafficanti di uomini e gli scafisti siano criminali da colpire senza pietà fa automaticamente scattare l’accusa di razzismo (si è contrari all’immigrazione), e l’altrettanto legittima opinione che non si debba ammettere il matrimonio fra persone dello stesso sesso fa automaticamente scattare l’accusa di omofobia. Il rischio (o la certezza) di essere i destinatari di queste accuse fa desistere facilmente tante persone dall’esprimere le proprie opinioni, per quanto legittime.

E’ interessante considerare la potenza preventiva di queste accuse, o anche solo del rischio che essere vengano lanciate. Per tanti di noi, solo il sospetto di poter essere considerati razzisti (o omofobi), quando pur nel nostro intimo sappiamo bene di non esserlo, ci destabilizza e ci confonde al punto di farci accettare spesso la rinuncia all’espressione di un semplicissimo punto di vista.

Da parte, poi, di chi si colloca “a sinistra”, la cosa è anche più precisa e comprensibile, perché queste possibili accuse colpiscono l’identità più vera di chi per scelta ideale sta dalla parte “dei più deboli”.

E allora, su queste questioni, bisognerebbe andarli a cercare bene, e senza farsi troppo intimorire, i più deboli. Chi sono?

Nella questione dell’immigrazione, certamente gli immigrati. Ma senza indulgenza verso chi ci specula (scafisti, trafficanti di persone e mafie varie, oltre che politici corrotti dei paesi africani). In quella dei “diritti gay” innanzitutto i bambini, a volte ridotti a merce fabbricata, venduta e comprata come se si trattasse di oggetti al servizio di qualche bisogno affettivo degli adulti; in secondo luogo le donne, a volte anch’esse utilizzate come macchine per produrre bambini (roba che le femministe che mi ricordo io farebbero la rivoluzione), senza dimenticare le persone che a causa del loro orientamento sessuale o delle loro scelte di vita devono combattere contro un particolare disagio od ostilità sociale.

Bisognerebbe provare a recuperare, direi, uno sguardo limpidamente “di sinistra” su queste questioni, senza farci dettare l’agenda dai professionisti del ricatto morale.

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Patrizia Toia e il PD: per “l’Espresso” nomi come insulti

Patrizia Toia

Allora: decidiamo di che cosa parlare qui. Parliamo di un articolo de “l’Espresso”, firmato da Tommaso Cerno e che ha questo titolo: “Il Pd sceglie l’antigay Patrizia Toia in Europa. E allora perché non riprendere la Binetti?”.

Bene: prima di tutto due parole sul fatto. Il fatto è che Patrizia Toia, che ha alle spalle tre legislature a Strasburgo, è stata scelta dal PD come sua capodelegazione al Parlamento Europeo.

Si tratta di persone, si tratta di nomi. Persone che hanno determinate posizioni, come è logico oltreché legittimo.

Ma succede sempre più spesso che quando uno ha un’idea, e magari fa anche politica, si apra nei suoi confronti una sorta di superproduzione di etichette in modalità-insulto: “antigay” (vuol dire che sei contro un determinato disegno di legge), “teodem” (vuol dire che sei cattolico del PD), “omofobo” (vuol dire che sei contro un determinato disegno di legge, c.s.), “personaggio cattolico integralista” (vuol dire che sei cattolico e che sei contro un determinato disegno di legge)”.

Ma un aspetto di questo articolo che sorprende è il recupero in chiave insultante addirittura del nome e cognome di una persona, Paola Binetti, con l’unico scopo di suscitare l’orrore dei lettori, in quello che forse si pensa dovrebbe essere una specie di riflesso condizionato. Al solo nome scatta la reazione del pubblico.

Qualcosa del genere si è avuto, e ormai da parecchio tempo, a proposito di Carlo Giovanardi, che mi pare sia stato un po’ l’antesignano, in Italia, dell’effetto “basta la parola”. Funziona come un gioco: si dice il suo nome, e scatta un moto concorde fra gli astanti, fra il disgusto e la rassegnazione.

In definitiva, si sostituiscono le persone (coi loro nomi) alle idee, e quando un’idea non piace si trasforma il nome della persona in insulto. Una pratica politically correct, laica e liberale.

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Ansie dell’esordio renziano

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Ho un referente renziano. Una brava persona, impegnata in politica a un certo livello. Di lui mi fido, ma lo vedo pochissimo e non abbiamo praticamente mai occasione di parlare. Adesso, forse, sarebbe la volta buona per chiedergli conforto, perché io ho una paura matta (a dir poco) che tutto ciò sia destinato a un drammatico  crollo, che lascerà sul campo morti e feriti, e col PD esausto e spolpato. Leggi il seguito di questo post »

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Le primarie di provincia

primarie Questa mattina ho fatto una passeggiata in piazza, e, dopo l’abituale sosta nell’ingresso del Palazzo Comunale, dove ho prelevato una certa quantità di volantini sulle prossime attività culturali del circondario, sono tornato lungo la Via Emilia. Nello spazio di dieci metri, ho incontrato i banchetti di due candidati alle primarie PD, Leggi il seguito di questo post »

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