Archivio per marzo 2012

Formigoni: CL non c’entra

Alberto Savorana, Ufficio Stampa CL, interviene a proposito del rapporto fra Roberto Formigoni e il Movimento, dicendo, fra l’altro, che CL “esiste solo per educare la persona ad assumersi la propria responsabilità nel mondo, stimando profondamente la libertà di ciascuno”.

Sì, però, quando c’è da fare campagna elettorale, siete una macchina da guerra. Forse bisognerebbe chiarire che tutta l’organizzazione per far eleggere il celeste Roberto “non ha nulla a che vedere col Movimento Ecclesiale di Comunione e Liberazione”. Se questo venisse fatto, ci sentiremmo tutti migliori. Per non parlare delle indimenticabili capriole logiche quando l’imperativo era quello di difendere l’indifendibile papi. Adesso, caduto lui, è facile mettere su la faccia contrita e sostenere la “scelta religiosa”. Davvero quello che dice Savorana è giusto, ma bisogna anche che “corrisponda” alla realtà. Nel frattempo, per inguaribile vocazione eccentrica, io mi diverto a fare il ciellino del PD.

,

Lascia un commento

only connect

Prima è arrivato il sushi, e i milanesi che ancora dicono al resto del mondo che l’hanno inventato loro. Poi i brunch, e i milanesi che già si sono stufati, il rito domenicale l’hanno lasciato agli immigrati teróni che ancora ci cascano. Poi le bakery, ovvero panetterie travestite da Papeete di Milano Marittima, per prezzi e frequentazioni, e i milanesi che si sono dati alla nostalgia per le michette di una volta. Ora in città si veste burger, è tutto un burger bar, è tutta una serata burger. C’è (non farò nomi) il fast food in centro, ma non da poveri, «lì un cheeseburger costa più di dieci euri»; c’è quello dei giovani cuochi che se la tirano molto, che sono molto fighi, che ti infilano l’avocado anche nelle patatine che sono bruciate, ma cosa vuoi, se la tirano molto, loro, sono molto fighi, loro; c’è il posto…

View original post 91 altre parole

Lascia un commento

Non sum dignus

Un buon lavoro. Un lavoro degno. Una vita degna. Una morte degna. Non una cosa qualsiasi, ma una cosa con una certa “qualità”. In quest’epoca di confusione fra le cose e le persone, è chiaro che il passo sarebbe molto corto, dal giudizio fra la qualità della vita di qualcuno a quello sulla “qualità” della persona stessa, e quindi sulla “dignità” della sua stessa esistenza in vita. Sei messo male e non ti decidi a sgomberare? Cerchiamo di convincerti. Non ti convinci? Qualcosa faremo. Non si potrebbe ridurti la pensione? Sai, bisogna aiutare i giovani. Sai, è per il “bene comune”

, ,

Lascia un commento

Libertà di orario per tutti!

Se per ora legale si deve intendere l’ora stabilita da qualcuno per tutti, e che oggi non è altro che il retaggio di una tradizione superata e bigotta, non sono d’accordo. Bisogna riconoscere e legalizzare le ore di fatto, anche prescindendo dal giorno e dalla notte, e dalla semplice successione numerica (altra convenzione assurda). Basta con le stupide e antipatiche ore sette del mattino! Vogliamo più ore 22,30 !

, , ,

Lascia un commento

Femminilità? Un’idea superata e bigotta.

Oggi sulla prima e l’ultima pagina di “la Repubblica” compaiono le immagini della campagna pubblicitaria di una casa di moda, o come si può chiamare. Trovo che ancora, dopo tanto e tanto tempo che si parla di modelle anoressiche ed emaciate, l’immagine di donna che viene proposta non corrisponde a un ideale sano di femminilità. Si può dire? Sono parole grosse?  Sono  “ofobo” di qualcosa?

, , ,

Lascia un commento

Mercato del lavoro e miopia generazionale

Mi sbaglierò, ma nelle polemiche che si sono scatenate, come era del resto naturale e prevedibile, sui previsti provvedimenti del governo in materia di mercato del lavoro, io intravedo un riflesso condizionato, che si riverbera negli articoli di giornale, nei post su Facebook, negli slogan di politici e di sindacalisti che ascolto in tv. E cioè la volontà di perpetuare una situazione squilibrata e ingiusta, che vede superprotetti coloro che un lavoro ce l’hanno, e in drammatica difficoltà coloro che non ce l’hanno, che lo vorrebbero e che non lo trovano. In mezzo ci sono i datori di lavoro, che prima di assumere ci devono pensare tremila volte, perché, come qualcuno diceva, in Italia un lavoratore non lo assumi, ma lo sposi (ma l’iperbole potrebbe non funzionare più, in tempi di divorzio breve). E che quindi si sentirebbero molto più liberi di inserire in azienda forze giovani se potessero “liberarsi più agevolmente” di elementi che non sono in grado di far fronte a necessità aziendali nel frattempo mutate.

Quale esigenza sociale deve prevalere? E ce n’è una, delle due, che è giusto che prevalga? Io direi che, a prescindere, e per puro principio, occorrerebbe dare gran peso, nel dilemma, all’esigenza di favorire il lavoro dei giovani.

E’ ovvio che non si può avere il cuore leggero quando si tratta di lasciare senza lavoro un padre di famiglia. Per questo una società bene ordinata dovrebbe mettere in campo una serie di tutele per favorirne il re-inserimento, sia sul piano della formazione, sia alleggerendo gli oneri delle imprese che sono disposte ad assumerlo, e anche per sostenerlo economicamente nel periodo della disoccupazione.
Il riflesso condizionato è purtroppo sostenuto dal sindacato, e in particolare dal più grande sindacato italiano. Temo veramente che, come accadde con lo storico episodio del referendum sulla scala mobile, il sindacato stia allontanadosi dalla interpretazione più diffusa che i cittadini hanno di questi fenomeni, e che stia attardandosi non tanto, come ovviamente sarebbe giusto, in una battaglia di giustizia e di tutela dei più deboli, ma in una tardiva e sempre meno comprensibile chiusura in difesa di interessi acquisiti e consolidati. Dicono, poi, che  gli iscritti al sindacato sono ormai tutti anziani. Che non c’è più un giovane che si iscrive. Ma quando il partito dei padri non ci sarà più per naturale estinzione, quale carico di rabbia e di disperazione potrà uscire dal partito dei figli?

, , ,

Lascia un commento

Rieccolo

E’ logico che dopo una cura come quella del governo Monti, la politica italiana reagisca; come un organismo abituato alle sue consuete patologie, che mal sopporta un assestamento particolarmente drastico, prescritto dai medici.

Un segnale di questa reazione è dato dal caos che sta invadendo la vita dei due principali partiti italiani, il PD semisvenuto dalle vicende delle primarie palermitane, e il PDL, alla ricerca del “quid” perduto, ma anche da vari tentativi di impostare, con qualche concretezza, una strategia per il dopo.

E fra ciò che di più temibile si aggira, e non troppo nascostamente, nel panorama della politica italiana, è il fantasma del ritorno “in campo” del signor “ghe pensi mi”, che è pronto all’ennesima scenetta col solito ritornello: “Purtroppo l’Italia ha ancora bisogno di me”.

, , ,

Lascia un commento

Pursuit of Happiness – Ricerca, non “diritto”.

Leggendo, questa mattina, un articolo di Vittorio Zucconi su “la Repubblica”, mi sono venuti alcuni pensieri.

Il problema è: quando è che un mio desiderio si può configurare come diritto e quando no? O anche: che cosa è che rende tale un diritto, a prescindere dai miei desideri o dalle mie opinioni al riguardo? Ad esempio: il fatto che io sia sano è ovvio che è un mio desiderio. Ma è anche un mio “diritto”? Quando si parla di “diritto alla salute” si parla proprio della salute, o non piuttosto, come pare a me, dell’assistenza medica?

Allo stesso modo, quali sono, in materia giuridica, gli elementi che inducono una società a legiferare in una data materia, per attribuirle una certa normativa, senza invece lasciarla alla libertà della determinazione individuale? Se la società stabilisce di regolare per legge la proprietà immobiliare, ad esempio, perché non lo fa per la proprietà di un pallone, o di un telefonino, che invece posso acquistare e regalare liberamente? Se io volessi che la legge riconoscesse formalmente che quel pallone è il mio? Non ne avrei forse il diritto?

E se io desidero che la società riconosca formalmente che io ho 24 anni, visto che la mia natura così mi detta, non ne avrei forse il diritto? E perché no, visto che di fatto vivo da ventiquattrenne? Perché attaccarsi a forme culturali del passato? Io non impedisco a nessuno di conteggiare gli anni di età come meglio gli aggrada, per carità. Ognuno è libero di seguire il bigottismo che crede!

Forse un bravo filosofo del diritto mi saprebbe spiegare in modo semplice questo tema, che credo sarebbe utile nel ragionamento, tanto di moda, sui “nuovi diritti”.

P.S.: La dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti non parla di diritto alla “felicità”, caro Zucconi, ma alla “ricerca della felicità”. E’ diverso, e mi sembra molto più chiaro.

1 Commento